Borsellino – Venti anni dopo

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Son passati venti anni da quel caldo pomeriggio di una tesa estate siciliana. Son già passati venti anni da quando la Mafia faceva saltare in aria, in Via D’Amelio a Palermo, il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta.

Il giudice sapeva che doveva arrivare la sua ora; nonostante avessero cercato di tenerglielo nascosto, aveva saputo che la settimana prima era arrivato in Sicilia il tritolo per lui. Sapeva bene di essere “un cadavere che cammina” come gli aveva detto il buon Cassarà qualche anno prima. Per Borsellino quei 57 giorni dalla strage di Capaci sono stati l’ennesimo intenso periodo di lavoro per ricostruire tracce, indizi, segnali e spunti investigativi per arrivare a chi stava dietro alla morte del suo collega e amico Giovanni Falcone; ogni giorno c’erano nuove tessere di un puzzle difficile da completare. In quei 57 giorni ha provato a gettare le basi per i suoi successori con l’obbiettivo di giungere alla verità, dura, ma necessaria e fondamentale.
Ma del resto lui sapeva bene che la guerra era molto difficile… come non ricordare la sua frase “I giudici continueranno a lavorare e a sovraesporsi e in alcuni casi a fare la fine di Rosario Livatino; i politici appariranno ai funerali proclamando unità di intenti per risolvere questo problema e dopo pochi mesi saremo sempre punto e accapo”. 
Come dargli torto?
Sono passati già venti anni e noi siamo qui a domandarci che fine ha fatto la famosa agenda rossa, che il giudice portava sempre con se annotandovi i dati delle indagini, che per noi è diventato un simbolo di lotta per la ricerca della verità.
I giudici non riescono a dare risposte alle nostre domande sulla “trattativa” collegata alle stragi del ’92. Non più tardi di un mese fa’, i riflettori si sono riaccesi sulla Procura di Palermo quando ha sottoscritto l’avviso di chiusura delle indagini preliminari sui contatti fra Stato e mafia. Alla base delle indagini vi è il cosiddetto “papello”, foglio firmato da Totò Riina e citato per la prima volta da Massimo Ciancimino – figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito – contenente le richieste di Cosa nostra allo Stato per evitare la prosecuzione delle stragi. Non va dimenticato neppure il coinvolgimento di Graviano e le importanti dichiarazioni di Spatuzza.
Nonostante tutto ciò, a distanza di venti anni non è cambiato molto. Si è passato il tempo a nascondere la polvere sotto i tappeti, a ricordare annualmente le figure di Falcone e Borsellino, cercando in tutti i modi di limitare il lavoro dei loro successori. Basta guardare come a tutt’oggi anche il Presidente della Repubblica Napolitano cerchi di nascondere la verità trincerandosi dietro una sorta di immunità dovutagli data la sua posizione.
Anche in queste vicende restano centrali le figure politiche ed i rapporti tra le più alte cariche dello Stato, la malavita organizzata, la Mafia! E se si vuole cambiare questo paese è da li che bisogna cominciare con persone “nuove”, con fedine penali pulite, preparate ed eticamente rispettose.
Noi vogliamo ricordare il giudice Borsellino con le sue stesse parole che oggi, a distanza di 20 anni esatti sono sempre più vive in noi:
“L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati.”

Equitalia? Si condanni la violenza, ma….

E’ nata una polemica sterile e molto fumosa dalle dichiarazioni di Grillo in merito ad Equitalia.

Di certo non si può che non condannare il susseguirsi di atti di violenza nei confronti di Equitalia.  Gli atti di violenza son sempre da condannare, non è quella la strada da percorrere.

Al contempo però il “modus operandi” di Equitalia lascia davvero sbigottiti. Il fine di base di questa società di proprietà dell’Agenzia delle Entrate e dell’Inps è indubbiamente meritevole.  Ha lo scopo di “contribuire a realizzare una maggiore equità fiscale, dando impulso all’efficacia della riscossione attraverso la riduzione dei costi a carico dello Stato e la semplificazione del rapporto con il contribuente”. In parole povere è il braccio operativo della riscossione del nostro Stato.

Il suo approccio “forte” risponde, al meno in teoria, alla necessità di “produrre un forte effetto di deterrenza all’evasione”.

 

Ma è questo il modo di operare corretto?  Equitalia arriva sui contribuenti, neppure fosse la Gestapo tedesca.

Per importi anche irrisori pignora beni e immobili. Per ogni giorno di ritardo o errato pagamento scattano sanzioni e more. Una sorta di terrorismo fiscale.  Tra gli imprenditori e nelle aziende vige il terrore dell’arrivo di qualche raccomandata di Equitalia.  Per debiti da 15.000 € vengono messi all’asta interi immobili.

Scambi di persona o notifiche mai spedite… Esistono situazioni limite come quelle raccontati dal sito Lettera 43; il caso della signora Maria Lidia Picchiri, titolare di un’azienda consorziata con l’Aci di Cagliari: da una busta Equitalia ha appreso che  per un debito di 5 centesimi del 2009 doveva pagare 62,03 euro, cioè il 1240% in più. Altro caso è la storia di Nunzio; autista da una vita, aveva accumulato multe per 4.500 euro: «Il mio titolare non si è curato di pagarle e l’importo dovuto a Equitalia è cresciuto fino a 19.500 euro. Ebbene, per questa cifra mi è stata portata via una casa da 300mila euro». Forse casi limite, ma emblematici.

D’accordo la guerra all’evasione fiscale, ma questa diventa polizia fiscale. Demonizzare l’evasione fiscale quale causa di tutti i mali sta creando questo genere di malumori. Non sono gli esattori, dipendenti di Equitalia, il “male”; in linea di principio i cittadini son favorevoli all’esistenza ed al funzionamento di Equitalia, ma al contempo forse è il caso di rivederne l’operatività.

Questo sopratutto in un ottica democratica. Perchè?

Equitalia è un emanazione statale,  richiede sanzioni e more quasi a livelli usurai per ritardi; ma lo Stato invece quando deve pagare come si comporta? E’ pazzesco vedere che il peggior pagatore a livello nazionale è il nostro Stato. Lo Stato paga perennemente in ritardo. Basterebbe che lo Stato iniziasse a pagare i propri debiti nei confronti delle aziende private per dare un minimo impulso alla nostra Economia. Altro che “manovre per la crescita”!

Come può il nostro Stato essere così iniquo? Quando si tratta di pagare bisogna aspettare anni, quando si tratta di incassare pretende sanzioni e interessi per ogni giorno di ritardo.

Questo non è lo stato che vogliamo!

Se si aggiunge a questo il fatto che la tecnica usata dal nostro sistema fiscale di esattoria è quella di sparare nel mucchio, il risultato non è confortante; si parte dal presupposto che tutti evadono e si fanno partire le famose “cartelle pazze”, ovvero cartelle esattoriali non fondate, che mettono il contribuente in condizione di dover fare salti mortali, passando da un ufficio pubblico ad un altro per farsi sgravare da richieste prive di fondamento. E’ sufficiente vedere che solo il 10,4% dell’accertato viene incassato; notevolmente inferiore rispetto al 94% degli Stati Uniti, al 91% della Gran Bretagna e all’87% della Francia.

Questo sistema disincentiva gli investimenti in Italia. Quale società straniera nel futuro avrà interessare ad investire in uno stato in cui vige una caccia all’evasore fiscale,  dove l’iniquità di trattamento tra stato e privati è così evidenziato, e dove la giustizia lavora ad una velocità da lumaca?

Stiamo ingolfando il nostro stato, rendendolo sempre più pieno di burocrazia! Non si può chiedere alle aziende di non licenziare il personale, di investire in Italia senza avere un complesso legislativo adeguato.

E in tutto ciò cosa fa’ la nostra classe politica? Si preoccupa delle cene di San Silvestro del Primo Ministro, quando fino al giorno prima nicchiava sui Bunga Bunga e accettava la storiella che la famosa “Ruby rubacuori” fosse la nipote di Mubarak.  Del resto lo hanno votato in parlamento… e come si usa dire… carta canta!

 

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La caccia alle streghe è davvero la priorità?

Il “giretto” fatto dalla Guardia di Finanza a Cortina il giorno di San Silvestro tiene banco su tutti i quotidiani.

Pare si tratti della caccia alle streghe.

L’evasione fiscale è certamente da combattere. Le indicazioni che provengono dai controlli della GdF a Cortina non suoneranno nuovi a nessuno, e le indagini dell”Agenzia delle Entrate faranno il loro corso nei tempi e nei modi debiti.

Non si pensi però che gli evasori esistano solo in Italia.  (http://disincantato.wordpress.com/2011/11/09/riflessioni-sulla-guerra-contro-i-mulini-a-vento-dellevasione-fiscale/)

Questa non è di certo una giustificazione, ma non son certo questa “caccia” sia la nostra priorità. Di tasse gli italiani ne pagano fin troppe per i servizi che hanno. Nel tempo è giusto e fondamentale lavorare affinché i singoli cittadini paghino le tasse dovute in base all’accertata capacità contributiva.

 

Da questa caccia serrata deriva però una riflessione.  E’ giusto soltanto demonizzare questi fantomatici ed ipotetici evasori? Perchè i giornali, che vengono mantenuti dai rimborsi pubblici, non iniziano a pubblicare articoli nei quali si parla del più grosso debitore italiano nei confronti delle nostre aziende… lo STATO???

Se lo Stato iniziasse a pagare nei tempi stabiliti dalla legge i propri fornitori si riuscirebbe a far ripartire l’economia almeno in parte. Per incassare pagamenti dallo Stato parecchie aziende si trovano ad aspettare anche più di un anno! Follia!

In compenso quando c’è da pagare le imposte lo Stato è velocissimo a incassare, e sopratutto diventa molto oneroso per il cittadino e le aziende sgarrare anche solo di un giorno. Lo Stato dovrebbe tutelare il cittadino, non fregarlo e spremerlo. Dove finiscono tutti i nostri soldi “pubblici”??? Dove finiscono le nostre tasse????

A sentire la Corte dei Conti (http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/04/nord-litalia-corrotti-labitudine-alla-mazzetta-salire-spread/181606/) 60 MILIARDI ALL’ANNO si sprecano per via della corruzione!

 

Il problema è la gestione del nostro Stato e la nostra classe politica! E’ partendo da quella che si possono risollevare le cose! Alzare le tasse è il modo più veloce per far risultare maggiori incassi prospettici, ed al contempo è la strada più veloce da percorrere, la più facile! Ma dove ci porterà??? Ci saranno soldi da destinare alle ricoperture dei debiti statali, ma senza alcun intervento sugli sprechi e sullo sperpero di denaro pubblico a tutti i livelli!

Basta mettere le mani nelle nostre tasche. E’ il caso di tagliare costi e sprechi, e non di chiedere ancora denaro!

gdf