Caso Giulio Cavalli: Maroni solleciti il Ministero

Caso Giulio Cavalli: Maroni solleciti il Ministero

giuliocavalliGiulio Cavalli, uomo di cultura, attore, scrittore impegnato nella lotta al crimine organizzato in Lombardia vive da tempo sotto scorta perché nel mirino delle cosche calabresi con la complicità di parte della politica lombarda.  Luigi Bonaventura, un ex boss della cosca crotonese Vrenna-Bonaventura, ha rilasciato, negli ultimi tempi, ben due interviste (qui equi)  nelle quali denuncia, ancora una volta, il pericolo in cui versa Cavalli.

Il Movimento 5 Stelle considera gravissime le parole di Bonaventura e degne di immediata attenzione da parte della Magistratura.

Per questo abbiamo depositato una proposta di Risoluzione presso la Commissione Antimafia, attraverso la quale si chiede al Presidente della Giunta Regionale Maroni di attivarsi presso il Ministero degli interni perché – si legge nell’atto – “venga verificato il livello di adeguatezza di protezione di Giulio Cavalli e, se necessario, venga aumentato il prima possibile” e  “venga altresì verificato il livello di adeguatezza di protezione di Luigi Bonaventura e aumentato se si rivelasse insufficiente”.

A Giulio Cavalli è stata espressa solidarietà a vari livelli istituzionali.

Le parole però, quando si tratta di pericolo immediato per la vita e l’incolumità non bastano.

Tutta la vicenda ha avuto scarsa pubblicità sui media e il silenzio è sempre complice quando si parla di questioni di mafia. Per questo è necessario intervenire subito e andare oltre la logica delle parole.

Sappiamo e auspichiamo che la Commissione Antimafia, il Consiglio Regionale e il Presidente Maroni sapranno accogliere la nostra richiesta sollecitando concretamente il Ministero dell’Interno. Non lasciamo solo Giulio Cavalli.

Il testo della risoluzione depositata dal Movimento 5 Stelle

Borsellino – Venti anni dopo

borselli

Son passati venti anni da quel caldo pomeriggio di una tesa estate siciliana. Son già passati venti anni da quando la Mafia faceva saltare in aria, in Via D’Amelio a Palermo, il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta.

Il giudice sapeva che doveva arrivare la sua ora; nonostante avessero cercato di tenerglielo nascosto, aveva saputo che la settimana prima era arrivato in Sicilia il tritolo per lui. Sapeva bene di essere “un cadavere che cammina” come gli aveva detto il buon Cassarà qualche anno prima. Per Borsellino quei 57 giorni dalla strage di Capaci sono stati l’ennesimo intenso periodo di lavoro per ricostruire tracce, indizi, segnali e spunti investigativi per arrivare a chi stava dietro alla morte del suo collega e amico Giovanni Falcone; ogni giorno c’erano nuove tessere di un puzzle difficile da completare. In quei 57 giorni ha provato a gettare le basi per i suoi successori con l’obbiettivo di giungere alla verità, dura, ma necessaria e fondamentale.
Ma del resto lui sapeva bene che la guerra era molto difficile… come non ricordare la sua frase “I giudici continueranno a lavorare e a sovraesporsi e in alcuni casi a fare la fine di Rosario Livatino; i politici appariranno ai funerali proclamando unità di intenti per risolvere questo problema e dopo pochi mesi saremo sempre punto e accapo”. 
Come dargli torto?
Sono passati già venti anni e noi siamo qui a domandarci che fine ha fatto la famosa agenda rossa, che il giudice portava sempre con se annotandovi i dati delle indagini, che per noi è diventato un simbolo di lotta per la ricerca della verità.
I giudici non riescono a dare risposte alle nostre domande sulla “trattativa” collegata alle stragi del ’92. Non più tardi di un mese fa’, i riflettori si sono riaccesi sulla Procura di Palermo quando ha sottoscritto l’avviso di chiusura delle indagini preliminari sui contatti fra Stato e mafia. Alla base delle indagini vi è il cosiddetto “papello”, foglio firmato da Totò Riina e citato per la prima volta da Massimo Ciancimino – figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito – contenente le richieste di Cosa nostra allo Stato per evitare la prosecuzione delle stragi. Non va dimenticato neppure il coinvolgimento di Graviano e le importanti dichiarazioni di Spatuzza.
Nonostante tutto ciò, a distanza di venti anni non è cambiato molto. Si è passato il tempo a nascondere la polvere sotto i tappeti, a ricordare annualmente le figure di Falcone e Borsellino, cercando in tutti i modi di limitare il lavoro dei loro successori. Basta guardare come a tutt’oggi anche il Presidente della Repubblica Napolitano cerchi di nascondere la verità trincerandosi dietro una sorta di immunità dovutagli data la sua posizione.
Anche in queste vicende restano centrali le figure politiche ed i rapporti tra le più alte cariche dello Stato, la malavita organizzata, la Mafia! E se si vuole cambiare questo paese è da li che bisogna cominciare con persone “nuove”, con fedine penali pulite, preparate ed eticamente rispettose.
Noi vogliamo ricordare il giudice Borsellino con le sue stesse parole che oggi, a distanza di 20 anni esatti sono sempre più vive in noi:
“L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati.”